Disastro di Fukushima

 
di Filippo Morelli 3E
Avendo in precedenza affrontato l’incidente nucleare di Chernobyl, oggi ne affrontiamo uno più vicino nel tempo ma più lontano nello spazio: il disastro di Fukushima. L’11 marzo 2011 la città, a causa di un violento terremoto di magnitudo 9.0, iniziò a tremare e questo causò un altrettanto impetuoso maremoto con onde di circa 10 metri che rientrando nell’entroterra per più di 9 km generando nell’immediato più di 30000 vittime. La centrale nucleare della città in pochi minuti attivò le procedure di emergenza per mettere in sicurezza i reattori, ma questo non fu in grado di prevenire la disgrazia, infatti le onde hanno investito la costa arrivando a danneggiare i reattori nucleari della centrale. In seguito al blocco degli impianti di raffreddamento si è verificata una serie di esplosioni con fughe di radioattività. Particolarmente pericolose quelle provenienti dal reattore 3, alimentato a Mox, un combustibile contenente plutonio. Ovviamente tale disgrazia ha causato, per via delle radiazioni, danni irreversibili ancora oggi tangibili. Le acque contaminate invece, sono state usate negli anni successivi per l’impianto di raffreddamento dei reattori danneggiati, mentre avanzava la proposta di un loro ipotetico rilascio in mare.
Il governo giapponese ha formalmente autorizzato il piano di rilascio. La decisione è stata annunciata martedì 13 aprile dal premier Yoshihide Suga che era già intervenuto in conferenza stampa. «Lo scarico dell'acqua è una questione inevitabile - ha spiegato Suga - nel processo di smantellamento dell'impianto n.1 della centrale di Fukushima. L'acqua sarà versata nell'Oceano Pacifico nell'arco di due anni. Già nel 2019 l'allora ministro per l'Ambiente di Tokyo aveva preannunciato che lo sversamento dell'acqua contaminata era «l'unica opzione». Il dibattito sullo smaltimento in mare è andato avanti fra tante perplessità e preoccupazioni espresse sia dalle cooperative dei pescatori sia dai gruppi ambientalisti, ma anche dalle cancellerie dei Paesi vicini: il governo di Seul aveva chiesto già un anno e mezzo fa chiarimenti su come Tokyo intendesse smaltire l'acqua contaminata di Fukushima. Immediate furono le reazioni dei governi dell'area improntate a sottolineare come tante voci di opposizione si siano levate finora rispetto al progetto del rilasciamento nell'Oceano Pacifico.
Nonostante in Giappone si siano susseguiti diversi governi, alternative allo sversamento in mare non ne erano state trovate. Anche l'agenzia ONU per l'energia atomica IAEA (International Atomic Energy  Agency) ha avallato da tempo la proposta del rilascio dell'acqua contaminata. Gran parte degli      isotopi radioattivi è stata rimossa dall'acqua attraverso sistemi di filtraggio, ma permane il trizio. Le        centrali nucleari costiere lo scaricano comunemente in mare, è un isotopo dell'idrogeno difficilmente      scomponibile e considerato innocuo, dal momento che risulta essere nocivo solo in grandi dosaggi.
Lo sversamento nell'oceano continua quindi, per ovvi motivi, a sollevare perplessità anche tra i governi dell'area del Pacifico e tra gli ambientalisti. D'altro canto, senza liberare lo spazio ora occupato dalle cisterne non si potrebbe procedere alla decontaminazione e al risanamento del sito di Fukushima. Inoltre, servirà spazio anche per immagazzinare decine di tonnellate di detriti radioattivi che verranno estratti dai reattori dell'impianto Dai-Chi danneggiato fin dal 2011, operazione di bonifica che richiederà un lunghissimo percorso di decontaminazione che secondo alcune stime potrebbe durare fino al 2050 e oltre. 

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